mercoledì 1 gennaio 2014

Buon anno


A tutti un augurio di buon anno dalla redazione.

I radicali marciano su Regina Celi e Rebibbia.

Dopo la marcia di Natale a Roma i radicali italiani tornano a invocare al Parlamento amnistia e indulto. Con la minaccia di sanzioni della Corte europea per le condizioni inumane e degradanti provocate dal sovraffollamento degli istituti penitenziari il partito guidato dal leader Marco Pannella ha visitato questa mattina il carcere di Regina Coeli, a partire dalle ore 9.30; nel pomeriggio la visita si è spostata al carcere di Rebibbia, a partire dalle 15. Insomma sembra ripetersi ancora una volta la solita liturgia in occasione delle festività, con la solita passerella per le carceri italiane che nulla aggiunge alla difficile situazione e nulla risolve. Sembra ormai chiaro che con i numerosi problemi che attanagliano la società italiana, quello delle carceri sembra essere stato relegato in fondo nell'agenda politica italiana anche a seguito della contrarietà dimostrata dal leader del Pd Matteo Renzi.

domenica 29 dicembre 2013

L'informazione uno strumento per provvedimenti scomodi.

Gli eventi di questi ultimi periodi ci fanno riflettere su un argomento molto importante per una democrazia come quella italiana. Ci riferiamo agli eventi che hanno caratterizzato il settore penitenziario negli ultimi tempi ossia l'omicidio-suicidio di Torino e i provvedimenti che il governo con il contributo del ministro della giustizia Cancellieri ha adottato per il sovraffollamento carcerario. Apparentemente sembrano due argomenti che non sono legati, ma in realtà i due episodi sono l'esempio tipico di come viene manipolata l'informazione al solo scopo di creare consenso su provvedimenti che la gente comune non approverebbe. Ma cosa unisce i due episodi? L'omicidio e il successivo suicidio dei due colleghi di Torino non ha avuto risalto nelle pagine di cronaca sui TG nazionali. Addirittura il Tg3 ha omesso di dare la notizia con la precisa volontà di infondere nell'opinione pubblica l'idea che chi soffre nelle carceri sono soltanto i poveri detenuti. Invece l'episodio dimostra chiaramente che la sordità della politica sulle questioni carcerarie riguarda anche il personale penitenziario ed in particolar modo quello di polizia penitenziaria, che è costretto a lavorare in condizioni estreme con uno stipendio da fame, con turni stressanti e spesso e volentieri lontano dai propri affetti familiari. Si aggiunga che le carenze di organico ormai hanno raggiunto le 7.000 unità questo dimostra che l'omicidio e il successivo suicidio non possono essere rubricate come semplice litigio tra due persone che erano appartenenti alla polizia penitenziaria, ma il risultato delle politiche di austerity che hanno riguardato il settore penitenziario. Un appartenente alla polizia penitenziaria che vive con la propria famiglia a Torino purtroppo non riesce con il proprio stipendio a fare una vita dignitosa e questo si riflette inevitabilmente sul proprio servizio. L'idea di essere sottoposto a procedimento disciplinare che avrebbe comportato anche sanzioni pecuniarie per l'assistente-capo ha spinto lo stesso a compiere ciò che nessuno poteva prevedere, ma che potevano essere evitate se il contesto in cui è maturato l'omicidio-suicidio fosse stato diverso. La questione allora è: fino a quando si devono nascondere i problemi reali del carcere oltre quelli che vengono denunciati dai media filogovernativi, ossia quello del sovraffollamento, perché è evidente che per avere maggior efficienza del sistema carcerario italiano occorrono risorse umane e quindi finanziarie. Negli ultimi anni il blocco del turno-over ha creato nella polizia penitenziaria un vero e proprio buco nell'organico che paradossalmente si è venuto a creare in anni in cui vi è stato il maggior tasso di presenze di detenuti all'interno dei penitenziari italiani nella storia repubblicana. A seguito di questo il governo, con il contributo di un informazione fiancheggiatrice, ha adottato un decreto-legge che ancora una volta apre le porte delle carceri per far uscire più persone dalle patrie galere solo dopo la minaccia di sanzioni da parte dell'Unione europea se non vengono rispettati i parametri di vivibilità per i detenuti. Insomma si vuole sostenere artatamente che la criminalità in un paese possa essere contenuta in 37.000 o 45.000 posti. E' del tutto evidente che questa e' una tesi poco credibile e l'Italia non ha bisogno dei soliti pannicelli caldi sulle questioni carcerarie, ma bisogna agire con pragmatismo e realismo senza le solite soluzioni che questa politica ha creato in questi ultimi venti anni. Del resto la nostra costituzione recita al 3' comma dell'articolo 27 Le pene non possono consistere in trattamenti disumani e devono tendere alla rieducazione, dove il termine rieducazione non è un sinonimo di scarcerazione.